COLUI CHE PARLA DAL FUOCO : L’ENTRATA NELLE TENEBRE DELL’ALDILA’ “INFERNO E PURGATORIO”

Il 29 dicembre 1923 moriva santamente, a 33 anni, nella casa dei Feuillants a Poitiers, Josefa Menéndez, umile sorella coadiutrice della Società del Sacro Cuore. Più volte il Signore le aveva detto che si sarebbe servito di lei «per realizzare i suoi disegni» (9 febbraio 1921) e «per salvare molte anime che gli erano costate tanto care» (15 ottobre 1920). Nel libro : COLUI CHE PARLA DAL FUOCO  Josefa ha più volte steso per obbedienza la relazione delle sue lunghe discese nell’abisso del dolore e della disperazione.

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Qualche estratto dei suoi scritti potrà giovare a molte anime, che debbono risalire un pendio e, soprattutto, sarà un richiamo dell’amore per quelle che decideranno di non risparmiare nulla per strappare le anime alla perdizione… Fu nella notte dal mercoledì al giovedì 16 marzo che Josefa conobbe, per la prima volta, questa misteriosa discesa nell’inferno. Già fin dal primo lunedì di Quaresima, 6 marzo, poco dopo la scomparsa di Nostro Signore, voci infernali l’hanno a più riprese dolorosamente impressionata. Anime cadute nell’abisso vengono, senza che ella le veda, a rimproverarle la sua mancanza di generosità. Ne rimane sconvolta… Ode grida di disperazione come queste: «Sono per sempre là dove non si può più amare… Quanto breve è stato il piacere! e la disgrazia è eterna… Che mi resta?… Odiare con odio infernale e questo per sempre!». «Oh, scrive sapere la perdita di un’anima, e non poter ormai far nulla per lei!… Sapere che per tutta l’eternità un’anima maledirà Gesù e che non c’è più rimedio!… neppure se potessi soffrire tutti i tormenti del mondo… Che terribile dolore!… Sarebbe meglio mille volte morire che essere responsabili della perdita di un’anima».

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Le discese vengono ogni volta preannunziate dai rumori di catene e dalle grida lontane che si avvicinano, la circondano, l’assediano. Essa tenta di fuggire, di distrarsi, di lavorare per sottrarsi a questa furia diabolica che finisce però con abbatterla. Ha appena il tempo di rifugiarsi nella sua cella, e tosto perde coscienza delle cose circostanti. Dapprima, si trova gettata in quello che chiama «luogo buio» di fronte al demonio, che trionfa su di lei e sembra credere di averla in suo potere per sempre. Egli ordina imperiosamente che sia gettata al suo posto e Josefa, legata strettamente, cade nel caos di fuoco e di dolore, di odio e di disperazione. Riferisce tutto questo semplicemente e oggettivamente, come ha visto, inteso, sperimentato. All’esterno solo un leggero sussulto dava indizio di tali misteriose discese. Nell’istante stesso il corpo di Josefa diventava del tutto floscio, senza consistenza, come quello di chi, da pochi momenti, non ha più vita. Il capo, le membra, non si sostengono più, mentre il cuore batte normalmente: essa vive come senza vivere! Questo stato si prolunga più o meno, secondo la volontà di Dio che l’abbandona così all’inferno, e tuttavia la custodisce nella sua sicurissima mano. Nel momento da Lui voluto un altro impercettibile sussulto, e il corpo accasciato riprende vita. Ma non è ancora liberata dalla potenza del demonio in quel luogo buio dove la ricolma di minacce. Quando infine la rilascia ed essa a poco a poco riprende contatto con i luoghi e le persone che la circondano: «Dove sono… e voi chi siete? vivo ancora?», chiede. I suoi poveri occhi cercano di ritrovarsi in un ambiente che le sembra così lontano nel passato. Talvolta grosse lacrime scorrono dai suoi occhi silenziosamente, mentre il volto porta l’impronta di un dolore che non si può esprimere. Riconquista alla fine il senso pieno dell’attuale realtà e non è possibile esprimere l’emozione intensa da cui viene pervasa quando, ad un tratto, comprende di poter ancora amare!

 

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Lo ha narrato più volte con semplicità incomparabile: «Domenica 19 marzo 1922, terza domenica di Quaresima. Sono nuovamente discesa in quell’abisso e mi è sembrato dimorarvi lunghi anni. Vi ho molto sofferto, ma il maggior tormento è di credermi per sempre incapace di amare N. Signore. Cosicché quando ritorno alla vita sono pazza di gioia. Mi pare di amarLo come mai L’ho amato e di essere pronta a provarglieLo con tutte le sofferenze che Egli vorrà. Mi sembra soprattutto di stimare ed amare pazzamente la mia vocazione». E, un po’ più sotto aggiunge: «Quello che vedo laggiù mi dà un gran coraggio per soffrire. Comprendo il valore dei minimi sacrifici. Gesù li raccoglie e se ne serve per salvare anime. Accecamento grande è quello di evitare la sofferenza, anche nelle cose più piccole, poiché, oltre ad essere molto preziosa per noi, serve a preservare molte anime da così grandi tormenti». Josefa ha tentato, per obbedienza, di narrare qualche cosa di quelle discese all’inferno, così frequenti in quel periodo. Tutto non può essere raccontato qui, ma qualche altra pagina servirà d’insegnamento prezioso. Esse inciteranno le anime a consacrarsi ed a sacrificarsi per la salvezza di quelle che ogni giorno e ad ogni ora sono sull’orlo dell’abisso.

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«Quando arrivo in quel luogo scrive domenica 26 marzo odo grida di rabbia e di gioia satanica perché un’anima di più viene a sprofondarsi tra i tormenti… In quel momento non ho più coscienza di essere scesa altre volte nell’inferno: mi sembra sempre che sia la prima volta e mi sembra di esservi per l’eternità, ciò che mi fa tanto soffrire, poiché ricordo che conoscevo ed amavo Nostro Signore… che ero religiosa… che Dio mi aveva fatto grandi grazie e dato numerosi mezzi per salvarmi. Che cosa ho dunque fatto per perdere tanti beni?… Perché sono stata così cieca?… Ed ora non c’è più rimedio… Mi ricordo pure delle mie comunioni, del mio noviziato. Ma ciò che mi tormenta di più è il ricordo che amavo tanto il Cuore di Gesù! Lo conoscevo ed era tutto il mio tesoro… Non vivevo che per Lui… Come vivere ora senza di Lui?… senza amarLo?… circondata da tante bestemmie e da tanto odio? «L’anima mia rimane oppressa e schiantata a tal segno da non potersi esprimere perché è indicibile». Spesso anche assiste agli sforzi accaniti del demonio e dei suoi satelliti per strappare alla misericordia divina qualche anima che Dio è sul punto di conquistare. Si direbbe che, nei disegni di Dio, le sue sofferenze siano il riscatto di quelle povere anime, che le dovranno la grazia vittoriosa dell’ultimo istante. «Il demonio scrive giovedì 30 marzo è più furioso che mai perché vuole perdere tre anime. Ha gridato rabbiosamente agli altri: « Che non sfuggano!… se ne vanno… su! su! tenete fermo!». «Udivo grida di rabbia che rispondevano di lontano». Per due o tre giorni consecutivi Josefa fu testimone di questa lotta. «Ho supplicato Nostro Signore di fare di me tutto ciò che vorrà perché quelle anime non vadano perdute scrive di ritorno dall’abisso sabato 10 aprile. Mi sono rivolta anche verso la Madonna che m’infonde una gran pace, perché mi sento disposta a soffrire qualsiasi cosa per salvarle. Credo che Ella non permettera al demonio di riportare vittoria». Il 2 aprile, domenica di Passione, scrive nuovamente: «Il demonio gridava« Non lasciatele andare… State attenti a tutto quello che può turbarle… che non sfuggano!.. fate in modo che si disperino…» «Era una confusione orribile di grida e di bestemmie. Improvvisamente, emettendo urla di rabbia, gridò: « Poco importa! Me ne restano ancora due! Togliete loro la fiducia!». «Compresi che una di quelle anime gli era sfuggita per sempre!». « Presto, presto! ruggiva; che le altre due non vi sfuggano! Afferratele… che si disperino! Presto… ci scappano!». «Allora nell’inferno si udì un digrignare di denti e con un furore indescrivibile il demonio ruggì: « Oh, potenza… potenza di questò Dio!… che ha più forza di me… Me ne resta una; e quella non me la lascerò scappare!...». «L’inferno non fu più che un grido solo di bestemmia, confusione di gemiti e di lamenti. Compresi che quelle anime si erano salvate! Il mio cuore ne fu pieno di gioia, benché nell’impossibilità di fare un solo atto di amore… Tuttavia non provo quell’odio verso Dio che hanno le anime infelici che mi circondano, e quando le odo bestemmiare e maledire, ne sento un tale dolore che sopporterei qualsiasi patimento perché Dio non sia così offeso e oltraggiato. Soltanto ho paura di diventare anch’io, col tempo, come quegli altri. Ciò mi tortura, perché ricordo quanto L’ho amato e quanto era buono verso di me! «Ho molto sofferto continua specialmente in questi ultimi giorni. Sentivo come un rivolo di fuoco passarmi dalla gola e attraversarmi tutto il corpo, mentre avevo la persona stretta tra assi infuocate, come ho già detto altra volta. Mi sembra allora sentirmi uscire gli occhi dall’orbita come se fossero strappati, i nervi stirati; il corpo piegato in due non può muoversi e un odore fetido invade tutto 1~~ E tuttavia questo è nulla in paragone di quello che prova l’anima che conoscendo la bontà di Dio si trova obbligata ad odiarlo, sofferenza tanto più grande se essa lo ha molto amato».

NOTA: Questo intollerabile odore avvolgeva Josefa al termine di queste discese all’inferno, come pure nei rapimenti e nelle persecuzioni diaboliche: odore di zolfo e di carne putrida e bruciata, che restava percepibile attorno a lei, dicono i testimoni, per lo spazio di un quarto d’ora o mezz ‘ora: essa però ne serbava molto più lunga.

Altri misteri dell’al di là stanno per rivelarsi a Josefa. In questa stessa epoca, Quaresima 1922, mentre giorno e notte porta il peso di tali persecuzioni, Dio la mette in contatto con un altro abisso di dolore, quello del PURGATORIO.

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Molte anime vengono ad implorare i suoi suffragi e i suoi sacrifici con espressioni di profonda umiltà. Dapprima ne resta impressionata: poi si abitua poco a poco alle confidenze di quelle anime penanti. Le ascolta, domanda il loro nome, le incoraggia e si raccomanda con fiducia alla loro intercessione. I loro insegnamenti sono preziosi e degni di essere raccolti. Una di esse, venendo ad annunziarle la sua liberazione dice: «L’importante non è l’ingresso in religione, ma l’ingresso nell’eternità!». « Se le anime religiose sapessero come bisogna scontare qui le piccole carezze prodigate alla natura…», diceva un’altra chiedendo preghiere. « Il mio esilio è terminato, ora salgo all’eterna patria». Un sacerdote diceva: «Quanto infinita è la bontà e la misericordia divina che degna servirsi delle sofferenze e dei sacrifici di altre anime per riparare le nostre grandi infedeltà. Quale alto grado di gloria avrei potuto conquistare se la mia vita fosse stata diversa!». Un’anima religiosa, entrando in cielo, confidava ancora a Josefa: « Come si vedono diversamente le cose terrene, quando si passa all’eternità! Le cariche non sono niente agli occhi di Dio: solo conta la purità d’intenzione con cui vengono adempiute, anche nelle più piccole azioni. La terra e tutto ciò che contiene sono poca cosa… tuttavia quanto è amata!… Ah, la vita, per lunga che sia, è nulla in paragone dell’eternità! Se si sapesse ciò che è un istante solo passato in purgatorio e come l’anima si strugge e si consuma per il desiderio di vedere Nostro Signore!». Anche altre anime, sfuggite per misericordia divina all’estremo pericolo, venivano a supplicare Josefa di affrettare la loro liberazione. «Sono qui per l’infinita bontà di Dio, diceva una di esse perché un orgoglio eccessivo mi aveva portata sull’orlo dell’inferno. Tenevo sotto i piedi molte persone: ora mi precipiterei ai piedi dell’ultimo dei poveri! «Abbi compassione di me, fa’ degli atti d’umiltà per riparare il mio orgoglio. Così potrai liberarmi da questo abisso. « Ho passato sette anni in peccato mortale confessava un’altra e sono stata tre anni ammalata. Ho sempre rifiutato di confessarmi. Mi ero preparato l’inferno e ci sarei caduta se le tue sofferenze di oggi non mi avessero ottenuto la forza di rientrare in grazia. Sono ora in purgatorio e ti supplico, poiché hai potuto salvarmi: liberami da questa prigione tanto triste!» « Sono in purgatorio per la mia infedeltà non avendo voluto corrispondere alla chiamata di Dio, veniva a dirle un’altra anima. Dodici anni ho resistito alla vocazione e ho vissuto in gran pericolo di perdermi, perché per soffocare il rimorso mi ero data in braccio al peccato. Grazie alla bontà divina che si è degnata di servirsi delle tue sofferenze ho avuto il coraggio di tornare a Dio… e ora fammi la carità di liberarmi di qui!». « Offri per noi il sangue di Gesù diceva un’altra nel momento di lasciare il purgatorio. Che sarebbe di noi se non ci fosse nessuno per sollevarci?».

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I nomi delle sante visitatrici, sconosciuti a Josefa, ma accuratamente annotati, con la data e il luogo della morte, furono a sua insaputa controllati minuziosamente più di una volta. La Quaresima stava per terminare in queste alternative di dolori e di grazie austere. Come avrebbe potuto Josefa, senza un aiuto speciale di Dio, sostenere tali contatti con l’invisibile e condurre nello stesso tempo la sua consueta, uniforme vita di lavoro e di dedizione? Eppure era questo lo spettacolo di virtù che il suo amore eroico offriva quotidianamente al Cuore di Colui che vede nel segreto, mentre chi la circondava non poteva non ingannarsi circa il valore di quelle giornate sempre uguali all’esterno, spese tutte nel compimento del dovere.

Per leggere tutto il libro online Colui che parla dal fuoco

LETTERA DEL CARD. PACELLI

Aprile 1938 Reverenda Madre, Non dubito affatto che il Sacro Cuore di Gesù non debba gradire la pubblicazione di queste pagine tutte piene del grande amore ispirato dalla sua grazia all’umilissima sua serva sorella Maria Josefa Menéndez; possano esse contribuire efficacemente a suscitare in molte anime una confidenza sempre più piena e più amorosa nell’infinita misericordia di quel Cuore divino verso i poveri peccatori, come tutti noi siamo. Questo il voto che formo benedicendo Lei e tutta la Società del Sacro Cuore. E. Card. PACELLI

Testo della lettera con la quale l’allora Card. Pacelli si degnava dare l’approvazione e henedire la prima edizione dell’Invito all’Amore, approvazione che confermò per l’edizione completa quando divenne Pio XII.

 

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